Come abbiamo già visto, comunicare rappresenta una base fondamentale per l’essere umano da cui niente e nessuno può prescindere. Ma comunicare è anche difficile, soprattutto quando dobbiamo farlo con persone provenienti da un altro Paese, da un’altra cultura, da un’altra lingua. Il sogno di costruire una lingua comune a tutti i popoli del mondo ha radici lontane e profonde. Tanti tentativi sono stati fatti in questo senso e tanti se ne continuano a fare. Uno dei più riusciti (e conosciuti) è l’esperanto, una lingua pianificata la cui ideazione risale alla fine dell’Ottocento.
Opera di un “non linguista di professione” polacco, tale signor Zamenhof, l’esperanto si pone come lingua ausiliaria per la comunicazione internazionale, ossia come “affiancamento” alla lingua madre, di cui non può e non deve prendere il posto. L’idea originaria, infatti, è stata di creare un idioma “neutrale” che permetta a chiunque di capire e farsi capire, senza tuttavia rinunciare alla propria identità linguistica e senza creare quella sorta di “sudditanza culturale” che inevitabilmente, invece, si manifesta utilizzando una lingua “madre di qualcun altro”. Pensiamo un attimo all’inglese, l’idioma che al momento più funge da “lingua di comunicazione internazionale”: quanti problemi crea lo studio e l’utilizzo dell’inglese? Quante ore e quanti soldi dobbiamo spendere per arrivare a padroneggiarla con una certa dimestichezza ed efficacia comunicativa? Quante “vacanze” e visite sono necessarie nei Paesi anglosassoni per imparare effettivamente questa lingua, pur con la consapevolezza che i parlanti nativi ci “surclasseranno” in ogni caso? Quante difficoltà e barriere riscontriamo nell’apprendimento e nell’uso di una lingua così diversa dalla nostra? Quanto bisogna tenersi aggiornati e quanta fatica costa non perdere l’utilizzo della lingua quando non abbiamo modo di praticarla con costanza e su base quotidiana?
L’esperanto, al contrario, proponendosi come “seconda lingua” e non essendo legato a una cultura specifica (che, evolvendosi, influisce e modifica anche la lingua stessa), pone tutti i parlanti teoricamente allo stesso livello ed evita lo svilupparsi di diverse varianti in diverse aree geografiche (riprendiamo l’esempio dell’inglese e pensiamo alle problematiche tra inglese britannico e americano – per non citare le tante altre varianti, australiano, neozelandese, sudafricano, ecc.). Pur proponendosi come seconda lingua, tuttavia, l’esperanto ha una ricchezza lessicale e un’espressività pari a quella di una qualsiasi lingua madre: ne sono una chiara dimostrazione le varie opere, sia tradotte che originali, dalla poesia alla narrativa, dal teatro alla musica, prodotte in questa lingua. E nonostante questa ricchezza espressiva, l’esperanto risulta essere un idioma semplice ed efficace, adatto anche all’immediatezza dell’informatica o degli scambi commerciali.
Ma in cosa consiste l’esperanto? Quali sono le sue caratteristiche? Iniziamo dall’alfabeto: 23 consonanti e 5 vocali, a ciascuna delle quali corrisponde un unico fonema-suono; l’accento è sempre tonico e sulla penultima sillaba. Vocali e consonanti corrispondono praticamente a quelle che già utilizziamo in italiano, con l’aggiunta di un paio di suoni non propri della nostra lingua (ma comuni in altre), segnalati da due segni diacritici: il circonflesso (^) e il breve (˘).
Lessico e grammatica sono stati ricavati da termini e regole già esistenti in altre lingue (come inglese, francese, italiano, tedesco, russo, polacco ecc.). C’è un solo articolo sia per il singolare sia per il plurale, in quanto i sostantivi generalmente non hanno genere, a meno che non siano riferiti a cose sessuate (come uomo o donna). Non esistono declinazioni o inflessioni nominali; l’unico caso marcato è l’accusativo (complemento oggetto), con il solo e unico scopo di permettere una più libera formazione della frase (non esistono infatti regole per l’ordine delle parole) senza perdere il senso della frase stessa. Anche i pronomi prendono questa desinenza, oltre a quella per gli aggettivi (che trasformano i pronomi in aggettivi/pronomi possessivi). I suffissi verbali non cambiano a seconda della persona (come avviene invece in italiano), ma specificano modo (indicativo, participio, infinito, ingiuntivo e condizionale) e tempo verbali (passato, presente e futuro). I participi sono aggettivi derivati dai verbi (che prendono quindi la desinenza propria degli aggettivi) e non esistono verbi irregolari o eccezioni di alcun genere. La negazione è singola (quindi, una frase come “non faccio niente” risulterà in realtà positiva; dovrà essere resa con espressioni tipo “faccio niente” o “non faccio cosa”), mentre la formazione delle domande è simile a quella italiana, senza l’uso di particolari marcatori e senza seguire un ordine particolare delle parole, ma basata solo sull’intonazione.
Data la sua facilità e i calchi da altre lingue, lo studio dell’esperanto ha dato anche ottimi risultati nella formazione linguistica, anche come valida base per l’apprendimento di altre lingue. L’esperimento più famoso a riguardo ha dato origine al metodo Paderborn, che prevede l’apprendimento dell’esperanto per due anni da parte dei bambini, prima di imparare una qualsiasi altra lingua straniera. I dati hanno dimostrato come il gruppo sottoposto ai due anni di “avviamento” con l’esperanto sia riuscito ad apprendere la lingua straniera più velocemente del gruppo che non era invece passato per l’esperanto (ma aveva da subito iniziato a studiare la lingua straniera), ottenendo infine un livello della lingua straniera persino superiore.
Esiste ormai una folta comunità esperantista nel mondo i cui membri, al fine di promuovere e praticare la lingua, si ospitano vicendevolmente, offrendo quindi anche l’opportunità di visitare un Paese straniero e assaporarne gli usi, i costumi, la cultura tramite la mediazione dell’esperanto.
Se volete saperne di più e contribuire anche voi alla diffusione dell’esperanto come lingua internazionale, potete iniziare da questo sito, oppure consultare il sito della comunità esperantista italiana.
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